Posted by : peppegenchi martedì 28 gennaio 2014


Quando chiedevi in giro, tutti rispondevano la stessa cosa:“ Mimì ? Un bravu carusu , pulitu, seriu. “ Magari non eccezionale e brillante a scuola, anche se il suo diploma di perito elettronico l’aveva preso, e poi, alla famigghia ‘nnun c’iavia maj datu probblemi.
Lucia, la madre, se lo mangiava con gli occhi, ma le parole no. Non le usava. Non riusciva a liberarle per dare voce al cuore. Un imbarazzo invadente le serrava la gola quasi soffocandola. Così non trovò mai il coraggio per dire a Mimì quanto lo amasse.
Non gli disse neppure, che il grigiore di tante giornate, quando il sole sembrava essere tramontato ancora prima di sorgere, era sopportabile soltanto perché c’era lui a dare un senso ad una esistenza che, di senso, ne aveva avuto raramente.
Almeno fu così sino a quel giorno maledetto , quando Mimì entrò in casa come una furia.
<< Mi hanno preso mamma, mi hanno preso ! >>
Saltava come un grillo. Urlava e dagli occhi, accesi come due tizzoni, sprizzava una gioia incontenibile.
Lucia lo guardò stranita , mentre un sottile turbamento le serrava il petto. Trovò appena la forza di sussurrare.
<< Ma che succede Mimi, cosa vuol dire che t’hanno preso ? >>
Il ragazzo fece una piroetta urtando una sedia che rovinò fragorosamente a terra.
<< Hanno accolto la mia domanda, mamma! Mi hanno preso in polizia, capisci ? >>
Come se le avessero sparato con una lupara a bruciapelo, la donna si portò entrambe le mani alla testa e s’accasciò di botto su una sedia. Poi, cominciò a battere con violenza la mano sulla gamba, quasi che fosse un rito di espiazione, mentre si contorceva lamentandosi.
<< Gesù Gesù ! U figghiu m’arrubbaru ! M’arrubbaru a me figghiu, Gesù, Gesù ! >>
Lucia continuò a urlare e a mazzuliarisi per un tempo che a Mimì sembrò infinito.
Poi all’improvviso, come un temporale d’agosto, smise. Si sistemò la veste, passò le dita , a mo’ di pettine, fra i capelli e con gli occhi freddi come il ghiaccio fissò il volto del figlio.
Mimì si sentì gelare il sangue. Mai aveva visto sua madre con uno sguardo così tagliente.
<< Bene, bene ! Al signorino a casa ci puzza di ogghiu di linu. Non si trova più a suo agio qui. Vuole respirare l’aria du continenti. Certu ‘dda è tutta n’autra cosa. Li fimmini li chiammanu donne e li masculi, uomini. E poi vuoi mettere una grande città cu stu paiseddu di nenti ? Megghiu ca ti ‘nni va ! Megghiu pi tutti ! >>
Il dolore la faceva straparlare. Le parole erano affilate come le lame di un duello rusticano.
Per vent’anni non aveva voluto tagliare quel cordone ombelicale che ancora la legava al figlio. Adesso, con un colpo secco, l’aveva reciso nettamente. Nel suo cuore ferito mortalmente, lievitava l’amaro sapore del tradimento. Non riusciva a concepire la scelta di Mimì in maniera diversa.
Un tradimento. Questo era.
Lancinante la pena di una madre che sa di avere un appuntamento ineludibile con il destino che muove le pedine a suo piacimento. Senza alcun preavviso.
Così che la sorpresa è totale e non hai tempo per preparare la contromossa.
Mimì guardava impietrito la madre. Avrebbe voluto dirle che, tra loro, niente mai sarebbe cambiato. Che il loro rapporto era saldo come le radici di una quercia e che i loro cuori scandivano lo stesso battito.
Che il cielo sarebbe stato luminoso di stelle. Lo stesso che lei gli aveva insegnato a guardare con stupore, nelle sere d’agosto, quando, tenendolo sulle ginocchia, gli cantava una nenia struggente che parlava di pirati dalle facce feroci, che sbarcavano per rubare tutto l’oro alle arance e ogni raggio di luce al sole lasciando al buio l'intera isola.
Per un attimo Mimì vide la stessa notte negli occhi di sua madre e risentì quel canto:
“ N’arrubbaru lu suli, lu suli, arristammu a lu scuru


chi scuru Sicilia…chianci. “

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