" Le giuste pause "

Un invito a chi legge a riflettere sul valore della pausa. Momento di ricerca interiore che connette la ragione e l'anima e ,poi, prende corpo nella parola. Un respiro profondo fra due note. La capacità di dominare l'impulso emotivo rendendo ogni gesto più nobile e compiuto. Per chiarire ciò che intendo , di seguito, riporterò alcuni brani tratti da un mio racconto : " il falò dei ricordi ".

- Ci sedevamo sempre su due grosse pietre bianche e levigate che avevamo battezzatoAdolfo e suo cugino. Era una sorta di vendetta che riscattava , in parte, la nostra sofferenza. Poggiare il culo su quei sassi ci divertiva molto. Ci ridevamo, anche se era un riso amaro come i morsi alle cannucce d'erba ancora fresca. Petroni sbuffava, facendo finta di fumare una sigaretta inesistente. Era un uomo ferito e deluso. Non un codardo. Se fosse stato possibile dar fuoco al pioppo con la forza della sua passione, in un battito di ciglia, del grande albero, sarebbe rimasta solo la cenere. Quanto gli sarebbe piaciuto afferrare le braccia a quei " fantocci " e ,seguendo il filo che li regge, giungere a chi li manovra, per strapparlo. Ridare a quelle braccia, incapaci di reggersi da sole, l'orgoglio della libertà. " Tieni ", mi disse porgendomi un minuscolo libretto, come quegli opuscoli che danno a teatro per poter seguire l'opera, " leggi a pagina otto ". " Con le giuste pause, perchè, a volte, le pause sono più importanti delle parole ". Aprii a pagina otto, impostai la voce ed iniziai a leggere. " Guarda un animale, uno qualsiasi. Un gatto, un cane, un puma o una giraffa, vedrai che tutti sono al loro giusto posto. Nessuno è imbarazzato. Tutti si comportano naturalmente. Non vogliono adularti ne impressionarti. Niente commedia. Sono come i sassi ed i fiori e le stelle nel cielo. " Le ultime parole le pronunciammo insieme. Petroni aveva ripetuto con me ogni passo, sottovoce. " Guardali bene ", mi disse, " questi altri animali sono soltanto dei burattini senza un anima che recitano in una ignobile commedia. La loro bandiera sarà ancora sul pennone, quando, per opportunità, l'avranno, più volte, rinnegata." Un tiepido giorno di primavera, seduto sul " cugino ", Petroni si passò il fazzoletto sulle labbra, respirò, avidamente, una lunga boccata d'aria e mentre lentamente la restituiva mi disse : " il buio nasconde ogni cosa, rende tutto incomprensibile eccetto l'aria che respiriamo ." Poi, come una rondine che torna al suo nido, reclinò il capo e se ne andò. Mi piace immaginare che nel posto dove è andato, tutti siano al loro giusto posto, pause comprese. -
martedì 28 gennaio 2014
Posted by peppegenchi

N'arrubbaru lu suli


Quando chiedevi in giro, tutti rispondevano la stessa cosa:“ Mimì ? Un bravu carusu , pulitu, seriu. “ Magari non eccezionale e brillante a scuola, anche se il suo diploma di perito elettronico l’aveva preso, e poi, alla famigghia ‘nnun c’iavia maj datu probblemi.
Lucia, la madre, se lo mangiava con gli occhi, ma le parole no. Non le usava. Non riusciva a liberarle per dare voce al cuore. Un imbarazzo invadente le serrava la gola quasi soffocandola. Così non trovò mai il coraggio per dire a Mimì quanto lo amasse.
Non gli disse neppure, che il grigiore di tante giornate, quando il sole sembrava essere tramontato ancora prima di sorgere, era sopportabile soltanto perché c’era lui a dare un senso ad una esistenza che, di senso, ne aveva avuto raramente.
Almeno fu così sino a quel giorno maledetto , quando Mimì entrò in casa come una furia.
<< Mi hanno preso mamma, mi hanno preso ! >>
Saltava come un grillo. Urlava e dagli occhi, accesi come due tizzoni, sprizzava una gioia incontenibile.
Lucia lo guardò stranita , mentre un sottile turbamento le serrava il petto. Trovò appena la forza di sussurrare.
<< Ma che succede Mimi, cosa vuol dire che t’hanno preso ? >>
Il ragazzo fece una piroetta urtando una sedia che rovinò fragorosamente a terra.
<< Hanno accolto la mia domanda, mamma! Mi hanno preso in polizia, capisci ? >>
Come se le avessero sparato con una lupara a bruciapelo, la donna si portò entrambe le mani alla testa e s’accasciò di botto su una sedia. Poi, cominciò a battere con violenza la mano sulla gamba, quasi che fosse un rito di espiazione, mentre si contorceva lamentandosi.
<< Gesù Gesù ! U figghiu m’arrubbaru ! M’arrubbaru a me figghiu, Gesù, Gesù ! >>
Lucia continuò a urlare e a mazzuliarisi per un tempo che a Mimì sembrò infinito.
Poi all’improvviso, come un temporale d’agosto, smise. Si sistemò la veste, passò le dita , a mo’ di pettine, fra i capelli e con gli occhi freddi come il ghiaccio fissò il volto del figlio.
Mimì si sentì gelare il sangue. Mai aveva visto sua madre con uno sguardo così tagliente.
<< Bene, bene ! Al signorino a casa ci puzza di ogghiu di linu. Non si trova più a suo agio qui. Vuole respirare l’aria du continenti. Certu ‘dda è tutta n’autra cosa. Li fimmini li chiammanu donne e li masculi, uomini. E poi vuoi mettere una grande città cu stu paiseddu di nenti ? Megghiu ca ti ‘nni va ! Megghiu pi tutti ! >>
Il dolore la faceva straparlare. Le parole erano affilate come le lame di un duello rusticano.
Per vent’anni non aveva voluto tagliare quel cordone ombelicale che ancora la legava al figlio. Adesso, con un colpo secco, l’aveva reciso nettamente. Nel suo cuore ferito mortalmente, lievitava l’amaro sapore del tradimento. Non riusciva a concepire la scelta di Mimì in maniera diversa.
Un tradimento. Questo era.
Lancinante la pena di una madre che sa di avere un appuntamento ineludibile con il destino che muove le pedine a suo piacimento. Senza alcun preavviso.
Così che la sorpresa è totale e non hai tempo per preparare la contromossa.
Mimì guardava impietrito la madre. Avrebbe voluto dirle che, tra loro, niente mai sarebbe cambiato. Che il loro rapporto era saldo come le radici di una quercia e che i loro cuori scandivano lo stesso battito.
Che il cielo sarebbe stato luminoso di stelle. Lo stesso che lei gli aveva insegnato a guardare con stupore, nelle sere d’agosto, quando, tenendolo sulle ginocchia, gli cantava una nenia struggente che parlava di pirati dalle facce feroci, che sbarcavano per rubare tutto l’oro alle arance e ogni raggio di luce al sole lasciando al buio l'intera isola.
Per un attimo Mimì vide la stessa notte negli occhi di sua madre e risentì quel canto:
“ N’arrubbaru lu suli, lu suli, arristammu a lu scuru


chi scuru Sicilia…chianci. “
Posted by peppegenchi

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